Testo di Silvia Fumagalli fotografie di Graziano Crippa
La regalità dei grandi felini ci intimorisce; il tradimento del serpente biblico ci ha resi diffidenti nei confronti dei rettili; perfino gli innocui pesci ci procurano un vago senso di inquietudine, per quel loro imbarazzante silenzio … che dire degli uccelli? Quel gran genio di Leonardo ne ha studiato il volo, Icaro li ha invidiati fino a morirne, anime poetiche di tutti i tempi ne hanno subito il fascino: Leopardi in una poesia paragona la propria indole al carattere schivo del passero solitario, inoltre così conclude l’ “elogio degli uccelli”: “similmente io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita.” Credo che sia un pensiero che tutti gli uomini hanno avuto, almeno una volta nella vita. Chi di noi, alzando gli occhi al cielo, non è rimasto incantato alla vista del volo solitario di un rapace, o non ha mai ammirato la formazione simmetrica dei migratori? Oggi voglio accompagnarvi nel magico mondo degli uccelli presenti nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone. Alzatevi di buon’ora, vestitevi con abiti poco appariscenti e seguitemi. Bocca chiusa, mi raccomando. Vi invito a fare questa passeggiata virtuale non solo col corpo, ma anche con la mente. Gli uccelli non saranno lì in posa per voi (non siamo allo zoo) e ne vedrete ben pochi, perché nel loro DNA c’è il gene della paura dell’uomo, e saggiamente ci stanno alla larga. Ma potrete sentirne il canto, ammirare i colori del piumaggio, seguirne il volo, immaginarli nel loro habitat. Nel Parco nidificano circa sessanta specie di uccelli: i più comuni sono quelli che maggiormente si sono adattati agli ambienti urbani, facendo di necessità virtù. Per citarne alcuni: la cornacchia grigia, lo storno, il passero, il merlo, il fringuello, la capinera, il verdone, lo scricciolo. Quest’ ultimo è piccolo uccello che si muove tra le foglie come un topolino e nonostante le piccole dimensioni ha un canto vigoroso. Gli scriccioli hanno abitudini solitarie ma d’inverno possono riunirsi coi propri simili all’interno della cavità di un albero, per scaldarsi a vicenda. La capinera invece è un passeriforme che pare abbia in testa una coppola nera: durante le dispute Il maschio solleva le penne nere del capo, per intimorire l’avversario. Il fringuello è famoso per la gioconda festosità del suo canto. Pensate che un tempo era usanza accecare gli individui da richiamo per migliorarne il canto. A causa della carne molto pregiata, inoltre, questi uccelli sono stati oggetto di caccia spietata. Se gli uccelli potessero comunicare con noi, al nostro modo di dire “allegro come un fringuello” sicuramente ribatterebbero: “Ma quale allegro? E’ solo un sopravvissuto”. Nel Parco nidificano anche uccelli meno noti, ma da considerarsi ospiti prestigiosi poiché la loro presenza indica che l’ambiente naturale da essi scelto è di qualità; hanno nomi buffi ma in alcuni casi significativi: la sterpazzola, l’occhiocotto, il canapino, lo zigolo nero e l’averla piccola. Osservate quella siepe di biancospino: può darsi che nella stagione calda ospiti proprio un nido di averla, un piccolo uccello capace addirittura di allestire una piccola dispensa di cibo: prepara infatti dei veri e propri spiedini infilzando insetti su spine di rovi o rami appuntiti. L’occhiocotto, specie rara da noi perché tipicamente mediterranea, ha l’occhio rosso e un carattere schivo, per questo è anche chiamato il Robin Hood della macchia mediterranea. “TOC, TOC, TOC” ...Avanti! Vi presento il picchio rosso maggiore: appollaiato su un tronco, in posizione verticale, che sfida la legge di gravità. E cosa fa il picchio? Ma che domande, picchia! Col becco appuntito fa dei buchi nei tronchi di alberi vecchi o morti, alla ricerca delle gustose larve, che cattura estroflettendo la lingua, a questo scopo fornita di utili setole. Ci sono delle ghiande incastrate nella corteccia, a indicare la strategia che questo uccello ha trovato per aprirle: le martella fino a romperle e poi ne mangia il contenuto. Il picchio rosso maggiore è come una massaia con la fissa della pulizia: dopo ogni imbeccata ai piccoli del nido, attende gli escrementi (emessi in una sorta di capsula) e li trasporta all’esterno. “Clià, clià, clià” ... una risata quasi inquietante ci sorprende. E’ la famosa risata del picchio verde. Ride perché sta giocando a nascondino con noi? Oltre che cibarsi delle larve nascoste nei tronchi gli piace anche avventurarsi sul terreno alla ricerca di formicai , sia per cibarsi delle inquiline sia perché li usa come vasca da bagno, per farvi dei bagni utili alla pulizia del piumaggio e al controllo dei parassiti. “Uiit, uiit, uiit" ... all’improvviso, seguendo questo suono, intravediamo una silhouette che velocemente si sposta da un albero all’altro: è il picchio muratore, instancabile nelle sue peregrinazioni e spericolato come un bambino troppo vivace: è in grado di scendere dai tronchi degli alberi spostandosi a testa in giù! La sua passione è impastare il fango col quale la femmina riduce il foro di apertura del nido, che altrimenti sarebbe alla mercè dei predatori. In pratica il maschio fa la malta e la femmina rifinisce la casa. E’ ormai mezzogiorno, è tempo di fare una sosta. Mentre ce ne stiamo seduti a riposare, alzando lo sguardo al cielo vediamo un uccello che muove le ali ma rimane fermo: cosa gli succede, si è dimenticato di inserire la marcia? Niente paura, è il gheppio che fa lo "spirito santo". Le ali sono in movimento, la coda è aperta a ventaglio, la testa è immobile per mettere a fuoco la preda e poi lanciarsi contro di essa. Come quasi tutti i rapaci, non si preoccupa di costruire il nido, preferendo utilizzare quelli abbandonati dai corvidi. Dobbiamo biasimarlo per il fatto che preferisce l’occupazione abusiva a un contratto di mutuo, oppure possiamo dargli il premio di miglior uccello riciclone? Mentre perdiamo tempo con questo quesito, apprendiamo che gli altri rapaci diurni presenti in questo territorio sono: lo sparviero, il falco pecchiaiolo, il lodolaio, e... eccola lì, la poiana, che volteggia a cerchio nel cielo sfruttando le termiche dell’aria calda. Le ore trascorrono lievi mentre aspettiamo la sera, e per ingannare l’attesa vi invito a tornare per un attimo con la memoria sui banchi di scuola….
“Dov’era la luna? ché il cielo notava in un’alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù...”
Ricordate la poesia di Pascoli “l’assiuolo”? L'assiuolo è un rapace notturno che in Toscana viene chiamato popolarmente "chiù" per il verso che emette. Questa reminiscenza scolastica ci è utile per introdurci al mondo dei rapaci notturni presenti nel parco: l’allocco, la civetta, il gufo comune, il raro barbagianni e, appunto, l’ assiolo, presente solo nella stagione estiva; dal tempo di Pascoli ha perso una vocale e un bel po’ di territorio. I rapaci notturni sono i veri padroni della notte, nel bosco, perché quando i loro simili vanno a dormire essi iniziano ad affaccendarsi. Queste affascinanti creature hanno una particolarità unica negli uccelli: gli occhi sono posti anteriormente, facilitando la visione binoculare ma riducendo il campo visivo. Tale limitazione è però compensata dalla straordinaria capacità di ruotare la testa. In pratica non hanno bisogno di guardie del corpo, perché possono guardarsi alle spalle pur rimanendo immobili. Per facilitare la caccia notturna la natura li ha dotati anche di un udito finissimo e di un piumaggio talmente soffice da lasciar passare l’aria durante il movimento e quindi rendere il loro volo estremamente silenzioso. Il rapace notturno è capace di vedere nell’oscurità, sentire ogni minimo rumore, avvicinarsi alle prede senza far rumore e catturarle piombando loro addosso in picchiata: i malcapitati possono essere piccoli roditori, toporagni, rospi, piccoli passeri, perfino conigli. L’assiolo è il rapace notturno più piccolo; può cantare il suo monotono “chiu” anche per tutta la notte, ogni 3 secondi, per delimitare il proprio territorio di caccia. Agli altri abitanti del bosco potrà sembrare uno scocciatore, ma è sempre meglio dell’ululato degli antifurti o degli scoppi di motorette che, specie d’estate, interrompono il sonno di noi umani imprigionati nel nostro habitat. D’altro canto, si sa che la natura ha fatto tutto meglio dell’Homo sapiens. Ci siamo addormentati al canto del nostro assiolo, come un bambino con una ninna nanna. Da un cascinale abbandonato, una civetta dai grandi occhi gialli e l’espressione corrucciata ci scruta, preoccupata. Non vede l’ora che ce ne andiamo, perché ci considera “umani del malaugurio”. Buona notte, cara civetta. |
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